(Quanto) Sono brave le aziende italiane sui social media?

(Quanto) Sono brave le aziende italiane sui social media?
4 Febbraio 2016 Antonia Cosentino

È la domanda che si cela dietro la ricerca avviata nel 2010 dall’Osservatorio dei Social Media dell’Università IULM.

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Un dato sorprendente è che non tutte le aziende hanno un sito web, ne fa a meno addirittura un quarto.

Le aziende che, invece, usano almeno un social media per attività di comunicazione e marketing costituiscono il 73%, in aumento rispetto al 64% del 2013.

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È interessante però notare che ben il 18% non da notizia nei siti della presenza sui social.

Quali social riscuotono più successo tra le aziende esaminate? Facebook la fa da padrone con il 79% di presenze, seguito da YouTube e Google Plus (55%), Twitter (48%), Linkedin (45%).

La presenza non corrisponde sempre in presenza curata e costante. I tassi di inattività sono abbastanza alti nella media: 16,5% su Facebook, 19% su Twitter. Proprio sul tipo di attività che viene fatta attraverso i social i dati ci dicono che il 40% delle aziende pubblica su Facebook prevalentemente post informativi/promozionale di prodotto, mentre su Twitter è più evidente la condivisione anche di eventi e contenuti che si volgono online e offline. Poche le aziende che utilizzano entrambi i social per stimolare un rapporto diretto con le persone.

La ricerca, consultabile su slideshare, ha utilizzato l’indice di SocialMediAbility (SMA), che sintetizza con una scala da 1 a 10, 5 indicatori: Orientamento (numero di account social, tempo di attivazione, tasso di attività), Gestione (numero di contenuti pubblicati e frequenza di aggiornamento), Reachness (varie metriche sull’audience raggiunta), Engagement (performance dei post) e Caring (metriche di risposta degli utenti).

L’indice di SocialMediAbility è per le aziende italiane complessivamente basso, soprattutto a causa dell’incapacità di fornire agli utenti l’assistenza che viene richiesta su Facebook e Twitter.

La dimensione relazionale rimane indietro e i canali sono sotto-utilizzati per prendersi cura del rapporto con i clienti – è il commento di Guido Di Fraia, professore associato alla IULM, pubblicato da chefuturo.it con un post di Vincenzo Cosenza – Essi si concentrano prettamente su attività di corporate branding (awareness) e social media marketing (di prodotto), sviluppando una comunicazione che è per lo più auto-referenziale e centrata sul brand, sui prodotti o sui servizi offerti, e non presta attenzione all’ascolto o al customer care”.